dalla finestra aperta le tende tentano di rallentare i raggi tiepidi del sole d'autunno, quello delle 2 di pomeriggio; entra del pulviscolo che balla un valzer muto, fortissimo, dal ritmo irrefrenabile. Qualcuno sonnecchia sulla poltrona, mentre la tv senza volume ciarla, discute, scasalinga casalinghe private delle loro emozioni, farcite di quelle della conduttrice e degli autori. Qualcun altro riposa in camera con la radio accesa, le voglie spente. Il cane è beato, tramortito, con il lungo muso sul tappeto colpito da quei raggi che sono riusciti a farsi largo. Di là, nella vecchia cucina, cade una pentola: un colombo, un piccione (qual è la differenza?) una coppia che s'incontra nel letargo degli altri. Non si sa, ma la casa si sveglia e il romanzo finisce. Inizia la realtà. L'operatività, i problemi, il quotidiano; la normalità, certo, ma con i tempi sbagliati. Dov'è, che fa, dove l'hai messo, a che ora torna, ma dove vai!? Il caffè!!
Tutta la poesia svanisce perché il brulicare frenetico della vita uccide gli animi pacati. Devo rallentare. No, non posso tornare ai pranzi fuori, alle pause caffè, al prendo un'insalata veloce e la mangio sulla scrivania. Ho bisogno del meriggio, della siesta. Avrò bisogno del meridione.
Venerdi torno a Roma.