lunedì 21 marzo 2011

La scarpetta no, no e no

Proprio no! Io vorrei tanto sapere chi l'ha decisa questa roba della scarpetta, che è maleducazione. Posso capire che se metti la faccia nel piatto e lo lecchi avidamente, come se non ci fosse un domani,  davanti ai genitori della tua ragazza durante il primo invito a pranzo ricevuto a casa loro, non è il massimo, ma suvvia, una spazzolatina. Delicata, con stile. Con un pezzettino di pane da intingere al volo e mettere in bocca. Non parlo mica di quelli che sul piatto ci fanno il velodromo e fanno girare il pane come quei ciclisti che sfidano la forza di gravità correndo a 100 all'ora intorno alla pista. Quello lo fai a casa, direttamente nella padella. 

C'era questo ragù bianco, pieno zeppo d'olio (di qualità) e di tartufo - quintali di tartufo - ed è stato lì che ho messo in discussione l'intero sistema del bon ton. Questa storia del bon ton e di Lina Sotis* che si crede sto cavolo la trovo insopportabile, poi. Io Lina Sotis vorrei vedere se a casa, in solitaria, non se la fa una bella scarpettata. Lina Sotis il pane ce lo mette proprio in ammollo nell'olio secondo me. E se non lo fa, non sa davvero che si perde. 

Io non sono mica sicuro che monsignor Della Casa, quando ha scritto il suo "Galateo overo de' costumi" (con una V), agognasse al taglio della mano del reo scarpettaro in pubblica piazza. Non penso proprio. A dire il vero sono sicuro che in quell'abbazia nel 1558 non si facesse affatto precetto di non godereccità, ma ci abbuffasse alla grande, ringraziando il Signore per il cibo. Insomma, lasciare la roba nel piatto, secondo me era ed è pure peccato. 

Tutta questa storia credo invece sia una roba inventata da un celiaco o da qualche ciccione che in fase di riproposizione del manuale originale stesse seguendo una dieta povera di carboidrati. Solo una persona del genere, con evidenti problemi sociali o fisici, potrebbe decidere di bandire la scarpetta dalle tavole felici. Sarebbe come dire, che ne so, da domani il pane e nutella lo mangi con le posate, altrimenti sei un super tamarro che non merita rispetto, nè attenzione e sei pure brutto e tutto quello che mi dici ti si ritorce contro e specchio riflesso se rispondi. Ah, buzzurro tu e chi non te lo dice con una mano alzata in equilibrio sul piede sinistro mentre viviseziona la rosetta nutellosa in questione con la stessa difficoltà con cui è costretto a sbucciare un'arancia o una banana. BUZZURRO!


*Che poi, chi si professa portatore sano di educazione e apostolo della parola nata per rendere la vita degli altri «più sopportabile» (come recita la descrizione del libro della signora Sotis) è un maleducato, a prescindere. Immagino la Sotis andare in un villaggio africano a portare del cibo a dei bambini affamati perché l'associazione di donne annoiate di cui fa parte, quest'anno ha raccolto una bella sommetta grazie ai dolci natalizi e dire loro, «ragazzi, per rendere la vita dei vosti amichetti più sopportabile, dovrete mangiare con dei libri sotto le ascelle e un dizionario di greco sulla testa. Almeno per i primi pasti».



martedì 15 marzo 2011

Com'è piccolo il mondo

e quanto è stupida questa affermazione. 

Se vieni da una provincia del sud, come me; se hai studiato a Roma o se hai degli amici che hanno studiato a Roma, come ho fatto io; magari nella mia stessa università; se poi alcuni di questi tuoi amici sono andati a vivere a Milano oppure altri amici della tua provincia meridionale hanno studiato direttamente a Milano o a Bologna o a Parma come hanno fatto i miei, di amici. Se inoltre fai le vacanze dove le faccio io, se vai nei locali, ristoranti, bar che frequento io...e io nomino una persona e tu pure e pensa, si conoscono! In quel caso il mondo non è piccolo, che cazzo c'entra il mondo?!

Non è che stiamo parlando del fatto che un tizio che stava con te alle elementari ha fatto un viaggio in Cina, s'è perso facendo l'auto-stop in Manciuria e ha conosciuto un tipo che l'ha ospitato per una notte a casa sua, poi il giorno dopo sono andati a fare colazione insieme e hanno conosciuto una ragazza, la barista, che fino a poco tempo fa aveva vissuto in Indonesia e lì abitava con una tizia che aveva un cugino di Lugano e a Lugano, questa tizia c'era stata una volta, da bambina e giocando in un parco svizzero - in cui si gioca, ma senza divertirsi troppo - aveva lanciato la palla lontano, verso lo stagno. Lì, sulla riva di quello stagno c'era un piccolo bambino peruviano che ha raccolto la palla e con un calcio goffo l'ha rispedita alla bambina. Questo bambino peruviano ha un fratello che il giovedi sera va a sbevazzare con gli altri peruviani a Piazza Mancini, a Roma.  Una volta tu hai litigato con il datore di lavoro pariolino di questo peruviano perché il tipo super sbronzo stava facendo pipì sulla macchina di una ragazza cinese che dalla Manciuria s'era trasferita lì perché un giorno, in un bar dove lavorava, si era innammorata perdutamente di uno che stava con te alle elementari.

Ecco, in questo caso il mondo è piccolo. 

Ma non venirmi a dire che, se conosco un tuo ex compagno di liceo perché ha la mia età, è vittima come me di un'emigrazione moderna che l'ha spinto a studiare in una città più a nord della sua, fa esattamente quello che faccio io e pensa, abbiamo pure giocato una volta a calcetto: cazzo, il mondo è piccolo, no?.

...perché lì penso che ad essere piccola in realtà sia solo l'ampiezza di vedute a cui siamo abituati.

martedì 8 marzo 2011

Frattali d'Italia

Stavo leggendo una lettera di un lettore de La Padania che si esprimeva, con il garbo e l’alto lignaggio che contraddistingue tutti loro, sul tanto caro tema dell’immigrazione. Oltre a trovarlo patetico per la consueta retorica qualunquista di chi tanto ha paura delle streghe e continua a farne baluardo politico senza vergogna e sì, chiedendomi anche e quasi immediatamente il perché fossi finito a leggere un articolo su La Padania, non so come (anzi lo so e ora ve lo spiego), è venuto fuori un collegamento con un interessantissimo articolo di Davide Bennato tratto dal suo blog "Tecno Etica", dal titolo "le innumerevoli vite del numero 8".


Il pezzo su La Padania, dall'accattivante titolo "Infinite ragioni per dire basta all'immigrazione. L'Italia è piena", all'inizio asserisce: «Nel nostro paese il 99% degli extracomunitari arrivati in questi ultimi anni sono islamici, dall'albanese al nigeriano, dal marocchino al pakistano ecc» non considerando per esempio cinesi o sud americani, ma lasciamo perdere. Poi - e qui il punto - fa una deliziosa digressione con una metafora che l’aiuta a concludere l’illuminante concetto. Parlando di una torta divisibile per 5, 10, 20, ma non per 100 – facendola così in barba alle leggi della matematica, del buon senso, ma soprattutto della simpatia e dell'ospitalità - il nostro simpatico lettore dalla penna imbizzarrita dice: «La torta è il territorio. Piacerebbe a tutti avere un territorio infinito con risorse infinite per poter accogliere tutti ma le leggi fisiche purtroppo valgono sempre».

Tenete a mente quanto detto.

Bennato, invece, oltre a parlare - come avrete immaginato dal titolo del post - del numero 8 e del suo ripetuto simbolismo nella storia, nella religione o nella fisica, accenna al frattale, che è un oggetto geometrico che si ripete nella sua struttura allo stesso modo su scale diverse, ovvero che non cambia aspetto anche se visto con una lente d'ingrandimento. 
Ma che vorrà dire Wikipedia? Significa che non cambia aspetto anche se visto con una lente d'ingrandimento, concentratevi un po' di più, su. Vi faccio un esempio e ve lo fa anche Bennato, ma soprattutto Wikipedia: un albero, ogni ramo è approssimativamente simile all'intero albero e ogni rametto è a sua volta simile al proprio ramo, e così via. Ci siamo capiti?

A me questa storia del frattale è piaciuta un casino. Pare che la mente umana sia istintivamente cosciente del fenomeno, insomma, sembra che riusciamo a capire certi frattali naturalmente, che siano intrinsechi nella nostra natura e nella Natura stessa. Il che già di per sé è abbastanza figo, direi. Ma se si va oltre la mera didattica è anche più divertente. Se infatti si pensa alla parola "fratta" che in italiano viene da frazionario e che deriva dal latino fractus (rotto, spezzato), saltano fuori assonanze chiarificatrici. Nel sud, per esempio, "fratta" è un termine dialettale che significa fratello e si sa, il fratello è frazione del sangue degli stessi genitori, il che ha una logica interessante. Anche le frazioni, intese come borgate di comune prive di uffici comunali, acquistano un significato diverso, più illuminante. Ma non è finita qui, pensate alle frattaglie, ai rimasugli spezzettati di qualcosa, dell'erba per esempio o delle budella animali. Frattanto è una frazione di tempo e il tempo è divisibile all’infinito ed è relativo solo se si fa l'esempio noto a tutti: un’ora di sesso di gruppo con  delle modelle estoni strafatte di Mdma e popper e cresciute da una famiglia di hippies sostenitori dell'amore libero senza implicazioni sentimentali post coitum è ben diversa da un’ora di Porta a Porta con Vespa che fa vedere il plastico del convento delle Sorelle Clarisse di Civita Castellana. A parte questo caso, il tempo è frazione di se stesso, ripetibile all’infinito e di fatto sempre uguale.

Ah, c'è pure Frattini che non è frazione, ma amplificazione dell'altro suo io, quello identico all’ex maestro di sci della famiglia Berlusconi e poi diventato ministro degli Esteri (l’attendibilità della fonte di questa informazione è da verificare) capo cioè di tutti gli ambasciatori, ed ecco che torna la logica grammatematica (concedetemela) che prende il nome di "frazione di Frattini" e che dice: Frattini rappresenta gli ambasciatori che rappresentano, a  loro volta, frazioni di uno Stato centrale. Viene da sé che Frattini ha il proprio destino nel nome.  
Nel frattempo ci stiamo perdendo.

Torniamo ai frattali e al loro rapporto con l'abominio espresso dal lettore de La Padania. 

Il senso è che la madre dei cretini è sempre incinta e ultimamente alcuni cretini, si sono raggruppati in un partito politico che si chiama, pensate, Lega, dal latino legatus, congiunto, discendente dalla prima Lega Lombarda del 1167, passando per la seconda Lega Lombarda, costituita nel 1226 da un certo numero di città italiane per resistere ad alcune pretese di Federico II fino ad arrivare a quella di Bossi, costituita nel 1981. Che se fate una regressione storica al microscopio dal 1167 a oggi, vi renderete facilmente conto non c’è stata nemmeno un minimo di evoluzione, né verbale, tantomeno posturale o culturale. Sono frattali della prima Lega. Come se non bastasse, il legàto è poi un termine musicale che prescrive un'esecuzione delle note senza alcuna interruzione fra l'una e l'altra. È insomma, in questo caso, una sequela infinita delle stesse stronzate. 

Il frattale di Bossi invece è il Trota, pensate…


venerdì 4 marzo 2011

L'atarassia regna a casa mia

come faccia non so, considerando che in realtà io sono agitato, non mescolato; sono scosso, più che altro. Scosso da fremiti incontrollati, misti a calma piatta che sorprende più della tempesta. Sarà il rooibos che ingurgito da giorni, la pioggia incessante, il sellino bucato del motorino che assorbe l'acqua e la rigetta sul pantalone, lì a ricordarmi che anche se ora, per cinque minuti, non piove più, è piovuto. E se è piovuto, mi devo bagnare, c'è poco da fare. 

Disegno una serie di linee bianche parallele, una sopra l'altra, l'altra sopra l'una, senza senso. Prendo appunti che non esistono, scrivo parole che non hanno un filo logico. Firmo. Scrivo il mio nome di continuo. 

Questa in realtà è una grafomania che ho sempre avuto, sin da bambino. A indagare poi si scopre che sono tante le persone che riempiono quaderni, diari e bloc notes di proprie firme:

- «Mi alleno per quando me ne chiederanno uno vero, di autografo», risponde l'amico con l'autostima spostata di qualche tacca in su verso l'alto (questa è un'allitterazione, era da tempo che volevo usarla) rispetto alla media

- «Non so perché lo faccio, è un gesto automatico», ho sentito dire a una paziente della clinica Sant'Orsola vicino a Clichy, Francia, che da anni cura i collaudatori di penne Bic*. 
  
*La Bic è un'azienda con sede a Clichy, Francia, fondata nel 1945 dal barone di origine italiana Marcel Bich, leader nella produzione di materiale di cancelleria come la classica penna a sfera

  e se vi state chiedendo come mai si chiami penna Bic e non Bich, ci pensa Wikipedia a spiegarvelo, immediatamente al rigo sotto. Infatti: «Il nome Bic deriva tra l'altro dall'abbreviazione del suo cognome». Geniale


- «Ah, io lo faccio perché da quando mi sono impossessato di questo corpo umano, atterrando anni fa dal mio pianeta nella remota galassia di Zondar, ho dovuto cercare di immedesimarmi il più possibile con l'ospite per dare vita al grande progetto di distruzione dell'universo così come era concepito prima che l'intelligenza fosse un requisito secondario. Infiltrarmi nel parlamento italiano e attaccare il sistema dall'interno è stato un passo importante», risponde Gasparri.

- «E se poi mia moglie vuole divorziare, eh? Se non firmo tutto, come faccio a dirle che quello è mio? Mica abbiamo la separazione dei beni, che sciocco che sono stato, avrei dovuto farla la separazione. Sì, firmo anche la roba sua, metti che si sbaglia. Dici di no? Ma chi se ne frega. Sì, ti firmo anche la camicia e la faccia. No, no, lasciami perdere, fammi firmare tuttooo!». Questo è uno stralcio di conversazione intercettata nella stanza di Nicola Porro al Giornale, prima che diventasse vicedirettore per raggiunta insanità mentale.


Insomma, come potete notare grazie a questa attenta ricerca statistica effettuata su un campionario autunno inverno estrapolato a sua volta da un campione di tessuto della suddetta campionatura, ma preso a caso tra tanti, sono molteplici e svariati i motivi che spingono qualcuno a scrivere il proprio nome di continuo. Io però non me ne faccio una ragione. E quindi basta, finisce qui. Ora scusate che devo finire la paginetta.


martedì 1 marzo 2011

Sto a lavorà

A Roma c'è lo stesso numero di avvocati dell'intera Francia. Cazzarola, sono tutti avvocati in questa città, è incredibile. Ovunque vai trovi giovani avvocati con i loro vestiti tirati a lucido e le 24 ore della The Bridge, gli spolverini e l'occhiale da sole Persol.  Acchittatissimi, super precisi, anche se la cosa più difficile che devono fare è fotocopiare e rifotocopiare faldoni per il capo. Gratuitamente. Incravattati fino all'asfissia, ma il nodo non è di quelli enormi, non sono mica agenti immobiliari. 

Roma straborda anche di agenti immobiliari che girano in sella a tamarrissimi Burgman assorbendo la luce solare con i loro gessati neri, caschi neri, occhiali neri, scarpe nere e orologio nero. Sembrano dei becchini, ma loro ti forniscono una sistemazione terrena, per un accogliente soggiorno temporaneo su questa terra, da pagare in comodissime rate e a una sportiva quanto misera percentuale da usurai. 

- Signora, guardi che meraviglia questo pozzo luce, non è un amore di intimità e allo stesso tempo accoglienza di buon vicinato? Non può mica farsi scappare questa tana d'amore a un prezzo del genere, sarebbe da folli.

Ma torniamo agli avvocati. No, non mi va di tornare agli avvocati. 

Vendo auto. Insieme ad un altro milione di venditori. Solo affari, no perditempo. Mai usata, giuro. Guarda, al massimo c'è uscito un paio di volte per fare una sveltina con qualche mignotta dalle parti della Salaria. 

- Ma non c'è l'ordinanza antiprostituzione di Alemanno che ha fatto sparire tutte le mignotte da Roma?

- Sì, c'è, ma con questa macchina vai in giro che sembri un onorevole e quelle non hanno paura, s'avvicinano senza problemi, senti il fratellino tuo (c'è sempre questo tocco confidenziale assolutamente non richiesto nel venditore di automobili)

-ok, m'hai convinto, la prendo!

I ristoratori poi. Quanti ristoranti ci saranno in questa città, tremila? Almeno. Il personale è mediamente distribuito così. Proprietario di mezza età con maglioncino a un filo di cachemire, camicetta azzurra e fare dinoccolato che sta là a gestire la situazione, ma non ci sta capendo niente. Cameriera o coppia di camerieri spigliati che sparecchiano, apparecchiano, fanno accomodare, prendono le ordinazioni, portano il cibo, trovano il tempo di fare due sketch con ognuno dei 15 tavoli strapieni, portano il conto e vengono pagati 800 euri al mese ,se va bene, per 11 ore lavorative. E poi c'è lei, la signora alla cassa. La signora alla cassa è fantasticamente stravaccata sul suo sgabello e quella cassa se l'abbraccerebbe, ci farebbe...non so che ci farebbe! La signora decide tutto e non ti caccia un centesimo, però di solito o è la mamma del proprietario o è la moglie. Nell'ultimo caso è abbastanza bona da farti soprassedere sullo sconticino mancato. 

I tassinari in questo blog li conosciamo benissimo e sappiamo che è la categoria più arrogante e fastidiosa che ci sia.

Poi ci sono i fondamentalisti del motorino. Sottocategoria della gran parte delle sopra citate. I fondamentalisti se ne fottono del tempo, del traffico, del meteo, del parcheggio. I fondamentalisti li invidio, li capisco, ma non li comprendo appieno. Escono in motorino anche se sta nevicando, se c'è stata un'improbabile slavina sul Muro Torto, se devono prendere secchiate d'acqua in faccia come pescatori di gamberi in Illinois (pescano gamberi in Illinois?). Loro hanno Tucano Urbano e se ne strafottono. Indossano un'armatura impermeabile ed escono. 

- caro, non dimenticare il bluetooth!

Per oggi mi fermerei qui. In fin dei conti volevo solo parlar male degli avvocati, ma mi sono un attimo dilungato mi sa...Quanti avvocati ci sono in questa città!?

Mai tanti quanto i vigili urbani...