mercoledì 27 aprile 2011

Volete fare del facile umorismo?

Bene, ripetete quella stupida battuta su quanti intellettuali ci vogliono per cambiare una lampadina. «Uh, uh, uh, ma ce ne vogliono 7, darlin': 6 bevono Vodka Martini e uno chiama l'elettricista». Cretini, voi che ve la ghignate a denti stretti. Il settimo deve anche chiedere all'elettricista di portare le olive, secondo me.

Comunque, fanno bene quelli là. Mica è facile cambiare una lampadina, soprattutto se la vostra esigenza è quella di levare un intero lampadario. Pieno di viti, substrati acciaiosi che fanno design e cavi accartocciati tra di loro e infilati nell'apposito fatto apposta plasticoso per cui serve un piccolissimo cacciavite da oculista, quello per le viti delle stecche degli occhiali. E voi non ce l'avete. 

Per non parlare della chiave a brugola - quella con la punta esagonale, per intenderci. In tedesco si chiama Innensechskantschraube Bauer und Schaurte - e anche lei,  è ovvio che ne abbiate qualcuna a casa. Ma nemmeno uno della dimensione giusta. Mi ci gioco la mia da 2.0 mm comprata a Berlino Est nel 1989 per svitare una fastidiosissima rondella del letto che cigolava un po' troppo. Ricordo che fuori, non so perché, continuavano a usare martelli pneumatici e picconi sui muri della città e contribuivano ad aumentare le vibrazioni. Strana gente i tedeschi. Li stimo moltissimo per la loro capacità di unire le parole per crearne una lunghissima. "Ricevere del sesso orale da una minorenne conseziente che si fa dare ripetizioni di latino da vostra moglie": per descrivere questa cosa c'è sicuramente una e dico una parola lunghissima e tuttattaccata in tedesco. Io non la conosco però, mia moglie non insegna latino, perché dovrei conoscerla?

- «Ubi, se fossi stato accorto, nella scatola degli attrezzi avresti conservato le brugole e i cacciaviti utilizzati al momento del montaggio, ora non avresti dovuto vedere 14 puntate di fila di McGyver per cercare di capire come fare».

- Scatola degli attrezzi!? Di McGyver mi piaceva Pete, l'inutile vecchio Pete Thorntorn».

E poi la mia casa dalle pareti verdine, ora, senza i lampadari e solo con le lampadine, è verdissima. Verdissima! Sto impazzendo, giro per le stanze e mi sento pallido. Ho paura che da un momento all'altro bussino dicendomi che il pranzo di oggi e stato infilato sotto la porta d'acciaio della mia cella. Sono in manicomio e temo sia ancora quell'orrendo purè di piselli.  Verde anch'esso.  Per dessert, gelato al pistacchio. Anzi che me lo portano il dessert in manicomio. 

Se mi regalassero una camicia di forza lo vedrei come un gesto amorevole. Oppure come un peccaminoso giochetto erotico. Ieri ho provato a bussare alla grata della mia vicina con una tazza di latta, per chiamarla. Non so perché mi ritrovi una tazza di latta a casa. Chiedetelo al secondino che sta nella sua guardiola al piano terra. No, non è il portiere.

Ho sentito delle voci per le scale...non so chi fosse, ma parlavano di un nuovo paziente indiano, enorme e muto. Un dejà vù?

Boh.

In ogni caso, non so se l'avete capito, ma mi sto trasferendo in una nuova casa. È per questo che ultimamente sono un po' assente. Per questo e anche perché ho avuto un'allergia incredibile. C'è chi dice che io sia allergico tipo, al freddo. Mi hanno giurato che esiste, l'allergia al freddo. Ogni volta che c'è una folata d'aria inaspettata, inizio a starnutire e devo soffiarmi il naso.  Dopo due minuti passa tutto. Questa cosa dell'allergia al freddo fa fico. Certo, non è proprio un super potere, anzi, direi che è un punto debole. Forse col calore e il vento caldo mi ricarico e sono in formissima. 

- «Presto, rinchiudetelo in quella cella frigorifera dalle pareti verdine!»

In ogni caso io è da una vita che dico che dovrei trasferirmi in un posto tropicale. Ora è per il mio bene, aspetto solo che un medico me lo confermi e faccio le valigie.

Ci sono allergologi corruttibili che possano vantare un certo rispetto, da queste parti? Se sì, fissatemi pure un appuntamento, finisco di smontare questa roba e arrivo.

venerdì 15 aprile 2011

C'è sempre un tempo, un tempo e un'adeguata cognizione

della società e del suo agire. L'evoluzione è sottile, la maturità è solo una convenzione. Pensateci, ci sono degli standard che di solito sia la scienza che la religione riassumono sostanzialmente in “nasci, riproduciti e muori." Intorno a questi macro sistemi ci sono delle sotto classi che a un occhio superficiale potrebbero sembrare infinite, ma in realtà non lo sono affatto. Tra il nasci e il riproduciti c'è ben poco e questo ben poco è quantificabile in una qualità oggettiva del modus operandi e tra il riproduciti e muori c'è sempre la qualità vissuta e ottenuta - si spera - nel modo meno invasivo per gli altri. Poi basta, non c'è nient'altro.  Il resto è fuffa.

Vivendo queste sotto classi si cerca di raggiungere i propri obiettivi in modo naturale, meritocratico e secondo le proprie aspettative, misurando i propri limiti e le proprie possibilità; non sempre è possibile e di questo, questo e soltanto questo, ce ne accorgiamo da sempre, sin da bambini. Ma non lo sappiamo.

- «Mamma, com'è possibile che io studio, non disturbo le lezioni della maestra, compro i libri e ripasso tutti i pomeriggi con la nonna e Marione che sta tutto il giorno a giocare a pallone sotto casa sua, fa casino...»

- «...confusione...»

- «...confusione, scusa... prende i miei stessi voti o addirittura più alti?»

- «Marione il figlio del sindaco? Non saprei tesoro, secondo me è perché Marione è stato più bravo, ha un maggiore dono della sintesi, ha approfondito più di te che invece hai voluto vedere a tutti i costi due puntate di fila dei Cavalieri dello Zodiaco e di Ken il Guerriero che poi, su, Ken non batterà mai Raoul e Toki è un po' come Julian Ross, che se non avesse avuto problemi di cuore a Holly nemmeno gliela faceva vedere la palla. (Mia madre era attenta a certe passioni di suo figlio)

- «Ah, capisco, studierò di più».

Se mia madre mi avesse detto, come avrebbe voluto, che Marione era il figlio del sindaco e questo sindaco era anche un po' furbetto e che quindi, anche se era un ciccione ritardato (Marione), prendeva ottimo di default, io non so come avrei reagito, sarei stato sicuramente triste. E non la penserei come la penso oggi. Nemmeno su quella troia della maestra.

Oggi, mentre io sono un precario del giornalismo, pagato male, di rado e sempre appeso al filo della marchetta di qualcuno, Marione è un redattore capo e anche se fa errori di ortografia, ha un bel contratto, le ferie pagate e può dire a qualcuno come me di andare lì che è successo questo e poi dall'altra parte della città a seguire un'altra cosa e di sbrigarmi a mandare 'sti pezzi, perché non è che possono aspettare me. No, non possono.

Però sono contento di una cosa, sono contento che un gruppo di amici, precari come me, abbia deciso di dargli un calcio in culo a quelli come Marione e agli editori amici del padre. Si chiamano Errori di Stampa e fanno casino per i propri diritti...

scusate, confusione...

io li appoggio e dovreste farlo anche voi. A meno che non siate amici di Marione...

venerdì 8 aprile 2011

- «Ah, lei vorrebbe assicurare una moto d'epoca?

 
    Bene, mi dica, di che si tratta?»

- «È un Honda Cx 500 del 1979, un gioiellino»
 
- «Capisco. E dove la terrebbe, che uso ne farebbe?»

- «Guardi, ci girerei per Roma - poi magari sa, una capatina a Fregene, al lago, che ne so, gitarelle - e poi la terrei in un cortile con cancello, legandola sempre con un catenaccio, un blocca disco e  potrei garantire che sarà sempre sotto la continua supervisione di quattro telecamere a circuito chiuso con led a infrarossi e sensore di movimento - che una volta Mario, la guardia giurata camorrista che -  nella remotissima eventualità di furto, la ritroverebbe gratuitamente grazie alle sue amicizie - ha sparato a un gatto che grattava sul muretto pensando fosse un nano che voleva arrampicarsi e irrompere nel cortile per violentare la signora Gettoni - e poi c'è Chen, un guerriero ninja che sta lì per delibera condominiale su proposta della signora Gettoni del terzo piano dopo che Mario aveva esternato i suoi timori. Infondati. Il ninja vive appostato sul tetto e cucina anche un'ottima zuppa ramen con uova, carne e spaghetti di grano»

- «E lei è residente a Roma?»

- «No, in Calabria.»

- «Ahia. Le costa il doppio.»

- «Come il doppio?! Non la porterò mai giù, vivo a Roma da 10 anni, lavoro qui. E c'è pure il ninja!!»

- «Sì, ma non ci interessa, lei è residente in una delle città con i premi più alti d'Italia e come le dicevo, non ci interessa dove si trova la moto. Vede, per colpa di tutti quegli avvocati parafangari, dei carrozzieri imbroglioni, dei medici che firmano senza problemi per prognosi di durata mensile e colpi di frusta "letali" anche se a tamponare l'auto è stato un bambino col triciclo - «Ma il bambino era in discesa!» - ora le persone oneste se la prendono, mi scusi il francesismo, "dans ce lieu" (l'ho detto che era un francesismo) e a lei tocca pagare esattamente il doppio, che a questo punto non sto nemmeno a dirle quanto viene» 

- Mah...»

- «Mi dispiace signor Minor, ma purtroppo il sistema funziona così. D'altronde le ho dato del buon materiale per essere incazzato anche oggi con qualcuno o qualcosa, non è felice per questo? Io personalmente se fossi in lei - e in un certo senso lo sono, visto che si tratta solo della fantasiosa rielaborazione parafrasata di una telefonata realmente accaduta in cui io, in realtà, ero molto meno affabile e compassionevole di quanto non lo sia adesso - cercherei un escamotage o cambierei la residenza, ma anche lì, eheheh, non sto a dirle quanti sbattimenti...»

- «Be', non so, va be', grazie mille e arrivederci...»

- «Arrivederci, le auguro una buona giornata e grazie per aver chiamato, spero che il servizio sia stato di suo gradimento :))))) »


Vi sembra possibile? Lo è, CAZZO SE LO È...


lunedì 4 aprile 2011

La latitanza sai è come il vento

Manco da un po', me ne rendo conto. Perché è vero che uno si accorge dell'importanza delle cose quando non ce l'ha più. E questa è l'eccezione che conferma la regola, no?

Da buon teen ager quale vorrei essere, il week end sono stato a Torino per vedere Jamiroquai. E mi duole ammetterlo, ma il mio essere diventato grandicello ha fatto in modo che anche lui lo sia diventato e che quindi le aspettative siano state smorzate da una carenza di entusiasmo del vecchio Jay Kay che, quasi claudicante, ingobbito e rugoso ha fatto solo pezzi vecchi - in evidente mantenimento di flusso dei profitti marketing-guidati - con la noia di chi non ce la fa più, ma deve continuare a provare a zompettare di qua e di là. Col sorriso.  Un sorriso falsissimo. Il pubblico del Palaolimpico Isozaki d'altronde mi si è fomentato quando alla fine ha cantato "Rock dust light star", singolo di punta dell'ultimo album. E ho detto tutto. 

Ai giovani è piaciuto un botto:


Beata gioventù.

Però Torino ha sempre un suo perché; è bella c'è poco da fare. Quando sono arrivato e ho visto tutte quelle bandiere italiane nei negozi e alle finestre ho pensato «ma guarda come cavalcano l'onda dell'Unità d'Italia per fare profitti, è giusto?» e invece poi mi hanno fatto notare che forse, non è sicuro, ma praticamente è così, le bandiere italiane sono una protesta al governo leghista e secessionista del Cota. E allora bravi, mi sono detto. 

C'è un'aria internazionale, sembra quasi di stare all'estero. Saranno le vie lunghissime di cui non si vede la fine e nemmeno un angolo che non sia di 90°. E poi c'è questa grossissima comunità di musulmani che sembrano perfettamente integrati e di meridionali che sembra non lo siano affatto, invece. È affascinante. Per dirne una: il mercatino della domenica in cui vendono cose assurde di prima necessità come un chiodo, una scarpa spaiata, dei caricabatteria per cellulari etacs, un pos per carta di credito, una racchetta del 1988, diversi film porno in vhs e un set di picconi e vanghe è in pieno centro mentre a Roma è dietro la moschea, ai margini della tangenziale...insomma, ci devi andare apposta. E non ci vai.

Il quadrilatero invece sembra una piccola Parigi e il mercato dell'antiquariato sotto i portici di piazza Vittorio Veneto ha dei pezzi originali meravigliosi, ma non avevamo un euro, purtroppo. Il museo del cinema nella Mole Antonelliana merita davvero e se avete tempo fate la fila per salire con l'ascensore fino in cima a vedere il panorama. Sperate però che il cielo sia terso. 

Il Palazzo reale invece, bah. Bello per carità, il primo piano soprattutto. Il secondo - extra e visitabile solo con guida a orari prestabiliti - non è così fantastico, anzi. C'era tutto questo eroismo e fondamentalismo savoiardo che un po' infastidisce. Il percorso delle stanze segue un iter storico discretamente complesso e approfondito, ma alllo sbarco dei Mille è dedicata una stanzetta piccolissima in cui si elogia Garibaldi e subito dopo Vittorio Emanuele è già a Palermo per poi entrare vittorioso a Napoli. Insomma manca tutta la parentesi di cui abbiamo già parlato e questo non è bello nè onesto da parte loro. Ogni stanza è accompagnata da una scenetta del teatro delle ombre in cui gli attori raccontano pettegolezzi del periodo rappresentato; si tratta di una tipica espressione artistica torinese di metà '800 . L'ho scoperto alla Mole.

Comunque, andateci e se avete tempo visitate anche palazzo Madama e il Gam, la Galleria di arte Moderna. Noi non abbiamo fatto in tempo, ma sarà motivo di altra gitarella. La prossima volta vorrei vedere un concerto al teatro Regio che, almeno da fuori, sembra stupendo. Ora c'è tutto un tributo a Verdi che sicuramente merita. 

Insomma, non so se vi freghi di tutto ciò, ma boh, era anche per scrivere qualcosa :)