mercoledì 8 maggio 2013

«Ciao ragazzi, sono la parola in più»

Quella che ti scappa fuori un attimo prima che il cervello possa averla elaborata. Ecco, sì, come dire, quella parola che come uno spermatozoo agile e guardingo si fa strada nel flusso, sposta tutti, dà spallate, strattoni, salta siepi, elude guardie, freni inibitori e zac, brucia sul tempo tutti gli altri e va a segno, generando un figlio malato. Ecco, quella parola lì. Sì, insomma, quando dici una cazzata, una cattiveria che ferisce qualcuno che ti è vicino, una parolina sbagliata in un discorso che andava in altra direzione.

Una goccia di inchiostro in un bicchiere d'acqua sorgiva. 

La cazzata non è mai parte di un gruppo, o meglio, si annida nel gruppo, è come quel ragazzino che va in gita con i compagni di scuola, il buon senso degli altri fa sì che sia tenuto in disparte per la maggior parte del tempo, perché alla fine gli altri sono pischelli, bravi ragazzi di sani principi, ma poi magari si sbevazza tutti insieme qualcosa e alla fine «lo sai che non sei malissimo come credevamo? Anzi, ci fai tajare proprio quando fai così!» 

E lì casca l'asino perché la cazzata a un certo punto diventa tronfia nel gruppo, si nutre di un successo fino ad allora insperato, la leggerezza degli altri abbassa loro le difese ed ecco che si rompe un vetro nella camera d'albergo, si fa del male alla compagna di scuola un po' bruttina, si prende in giro la professoressa timida di cui non si conosce minimamente la storia personale. Qui la cazzata la fa da padrona e tutti ci vanno di mezzo, nessuno escluso. È sempre così. 

- «Mamma non sono stato io»
- «Hai provato a fermarlo?»
- «No»
- «Sei complice. Punto.»

Le buone azioni, i buoni propositi, tutto a puttane, tutto reso vano da quell'unico gesto malevolo che oscura inesorabilmente il resto e verrà ricordato come il momento topico, il clou di quello che era stato altro finora. La cazzata non perdona, ma è difficile gestirla, alcune persone riescono a controllarla solo in post produzione, a cocci rotti.

Quando sono a casa da soli, nella penombra di una bajour, metabolizzano, pensano, rimuginano e si fanno venire la gastrite mangiandosi le mani. Quelle mani che avrebbero dovuto dire Alt, che fai, sei scemo? Non essere leggero, questa volta pensa, trattieni la cazzata, non dico che la eliminerai del tutto, ma almeno continua a tenerla in gabbia, nell'unico posto dove merita di restare. 
Perché se la tigre esce, anche solo per una volta, può irrimediabilmente far male a qualcuno. Irrimediabilmente.

Stacci.